IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso in appello n.
 1291/1991 proposto dall'ente autonomo  lirico  teatro  dell'opera  di
 Roma,  rappresentato  e  difeso dall'avvocatura generale dello Stato,
 con domiciolio eletto in Roma alla via dei Portoghesi n.  12,  contro
 Capilongo  Anna  Maria, rappresentata e difesa dall'avv. Giorni Della
 Valle, con domicilio eletto in Roma, al piazzale Clodio  n.  22,  per
 l'annullamento della sentenza n. 483 dell'11 marzo 1991 del tribunale
 amministrativo regionale del Lazio, sezione II- ter;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Capilongo Anna Maria;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore il cons. Corrado Allegretta;
    Uditi all'udienza pubblica del 4 dicembre 1992 l'avv. dello  Stato
 Guida per l'appellante e l'avv. Della Valle per l'appellata.
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    L'ente  lirico  teatro  dell'opera  di  Roma  impugna, chiedendone
 l'annullamento o la riforma, la sentenza n. 483  dell'11  marzo  1991
 con la quale il tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione
 II-  ter,  ha  dichiarato  il diritto della dipendente Capilongo Anna
 Maria ad essere trattenuta in servizio fino al compimento del 65 anno
 di eta', con il conseguente annullamento del provvedimento in data 20
 ottobre 1985 con il quale il sovrintendente dell'ente aveva  disposto
 il suo trattenimento in servizio fino al 30 novembre 1989, data nella
 quale  essa  avrebbe maturato i requisiti minimi per il conseguimento
 della pensione.
    L'appellante sostiene che la legge 13 luglio 1984, n. 312, il  cui
 art. 6 dichiara espressamente non applicabili al personale degli enti
 lirici  le  disposizioni  della  legge  26  febbraio  1982, n. 54, in
 materia di trattenimento in servizio,  ha  natura  interpretativa  e,
 comunque, doveva applicarsi ai rapporti non ancora esauriti.
    Con atto notificato in data 19 luglio 1991 l'appellata ha proposto
 appello  incidentale,  col  quale  ha  riproposto i motivi dedotti in
 primo grado.
    All'udienza del 4 dicembre 1992, sentiti i difensori delle  parti,
 la causa e' stata trattenuta in decisione.
                             D I R I T T O
    1.  - L'ente lirico teatro dell'opera di Roma deduce con l'appello
 principale che l'art. 6 della  legge  13  luglio  1984,  n.  312,  ha
 dichiarato  non applicabili agli Enti lirici, tanto le leggi 20 marzo
 1975, n. 70, e 29 marzo 1982, n. 93, quanto l'art.  6  del  d.l.  22
 dicembre  1981, n. 791, come modificato dalla legge di conversione 25
 febbraio 1982, n. 54, ed  ha  affidato  la  disciplina  giuridica  ed
 economica  dei  rapporti  di lavoro con i loro dipendenti ad appositi
 contratti collettivi di categoria. Onde il  rapporto  di  lavoro  con
 l'appellata  era  stato  considerato cessato dal giorno successivo al
 compimento del sessantesimo anno di eta', come stabilito dall'art. 34
 del vigente contratto collettivo del 14 agosto 1979.
    Cio'  perche'  i  rapporti giuridici in corso per il seguito della
 loro vita ricadono sotto la disciplina delle leggi  sopravvenute  che
 li  riguardano,  ferme  soltanto le situazioni esaurite, fra le quali
 non puo' considerarsi la durata ulteriore un rapporto di lavoro (cfr.
 C. S., Sez. VI, ord. n. 461 del 3 giugno 1992).
    Anna  Maria   Capilongo   con   l'appello   incidentale   sostiene
 l'irretroattivita'dell'art.  6 della legge 13 luglio 1984, n. 312, la
 violazione del divieto di reformatio  in  pejus,  la  violazione  dei
 doveri inerenti i rapporti bilaterali in relazione all'affidamento al
 mantenimento  in  servizio  fino  al sessantacinquesimo anno d'eta' e
 l'eccesso  di  potere  per  contraddittorieta'  con   il   precedente
 provvedimento  che aveva assunto l'impegno relativo, la necessita' di
 apposito atto di recepimento della normativa  contrattuale,  a  norma
 della legge 29 ottobre 1987, n. 459.
    Della  norma  dettata dal secondo comma dell'art. 6 della legge 13
 luglio   1984,   n.   312,   tuttavia   eccepisce    l'illegittimita'
 costituzionale  per  contrasto con gli art. 3 e 4 della Costituzione,
 ravvisando disparita' di trattamento  tra  i  dipendenti  degli  Enti
 lirici   e   tutti   gli   altri   lavoratori   subordinati  iscritti
 all'assicurazione  generale  obbligatoria   per   l'invalidita',   la
 vecchiaia  ed i superstiti, derivante dall'inapplicabilita' dell'art.
 6 del d.l. 26 dicembre 1981, n. 791, come convertito in  legge,  nei
 confronti  dei  soli  dipendenti degli enti lirici e non di tutti gli
 altri, senza che vi siano situazioni differenziate.
    La questione  e'  evidentemente  rilevante,  dato  che  dalla  sua
 soluzione   dipende  la  decisione  della  causa  in  relazione  alla
 fondatezza o meno  delle  questioni  di  merito  dedotte  dall'una  e
 dall'altra  parte  a  seconda che la disposizione di legge denunziata
 sia o meno dichiarata costituzionale.
    Essa, inoltre, e' stato gia' ritenuto con l'ordinanza sopra citata
 n. 461, del 3 giugno 1992, non appare manifestamente  infondata,  con
 riguardo  agli  artt.  3  e  4  ed  in  relazione  all'art.  38 della
 Costituzione.
    Il d.l. 22 dicembre 1981,  n.  791,  che  detta  disposizioni  in
 materia previdenziale, con l'art. 6, nel testo modificato dalla legge
 di conversione, consente l'opzione per la prosecuzione dell'attivita'
 lavorativa  a  tutti  gli iscritti all'assicurazione obbligatoria per
 l'invalidita',  la  vecchiaia  ed  i  superstiti  ed  alle   gestioni
 sostitutive  ed  esonerative  di  essa, i quali non abbiano raggiunto
 l'anzianita' contributiva massima.
    Si  tratta,  dunque,  di  norma  generale  che  riguarda  tutti  i
 lavoratori subordinati obbligati all'assicurazione di vecchiaia e non
 ancora provvisti dell'anzianita' contributiva massima.
    In tale quadro assicurativo una qualsiasi limitazione posta ad una
 o  piu'  categorie  di assicurati della possibilita' consentita dalla
 norma generale di pervenire a quella anzianita',  seza  che  essa  si
 basi  su  sostanziali  e  pertinenti  differenze  di situazioni delle
 categorie svantaggiate rispetto alla generalita'  delle  altre,  pone
 l'esigenza  di  verificarne  la  compatibilita'  con  l'art.  3 della
 Costituzione.
    Tanto piu' che tale forma di assicurazione e' intesa a fornire,  a
 carico  di  organi  o  istituti  predisposti o integrati dallo Stato,
 mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di vecchiaia. Mezzi
 siffatti, rapportati alle opportunita' di accumulo  nel  corso  della
 vita lavorativa di ciascun lavoratore, ben possono essere diffenziati
 relativamente  alla  durata di detta vita, ma non possono esserlo per
 effetto di situazioni che dall'interno ne  provochino  la  differente
 portata  rispetto  a quella di tutti gli altri lavoratori e senza che
 vi siano contrapposti mezzi compensativi.
    L'art. 4, primo comma, della  Costituzione  riconosce  a  tutti  i
 cittadini  il  diritto  al  lavoro  ed  alla  promozione  di tutte le
 condizioni che lo rendano effettivo. Un simile riconoscimento sarebbe
 gravemente limitato se,  senza  altra  ragione  distintiva,  trovasse
 nella  legge  dimensioni maggiori o minori di durata per categorie di
 cittadini rispetto ad altre, specie  se  nell'ambito  di  una  stessa
 categoria, quale quella dei cittadini lavoratori subordinati iscritti
 all'assicurazione  obbligatoria  per  l'invalidita', la vecchiia ed i
 superstiti.
    La soluzione  della  questione  di  illegittimita'  costituzionale
 cosi' prospettata dev'essere rimessa alla Corte costituzionale.